Quei “mea culpa” che non arriveranno mai


Marcello dell’Utri è stato fermato a Beirut nel palese tentativo di non farsi trovare alla data della sentenza del processo che lo vede rispondere dell’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Io il sig. Dell’Utri ho avuto il “piacere” di incontrarlo una sola volta: era il 30 agosto 2010, in Piazza Cavour a Como, durante un appuntamento nella rassegna di Parolario. Lo avevo già scritto allora: è stato uno dei pochi momenti in cui sono stato orgoglioso della mia città e dei miei concittadini.


Si levò immediatamente un coro di opinioni autorevoli e bipartisan (anche dalle parti più inaspettate, in alcuni casi non erano nemmeno di Como) a stigmatizzare l’accaduto.
Ci dissero che “era una brutta pagina per Como“, che “arrecavamo danno all’immagine della città”, che “non è così che ci si comporta”, che “la cultura non si contesta”, che bisognava “separare l’uomo politico dall’uomo di cultura”, che “si è colpevoli solo dopo una sentenza definitiva”, che eravamo “contestatori dei centri sociali”, che erano stati “calpestati secoli di cultura europea“.

Ma nessuna di queste autorevoli voci capiva (o voleva ammettere) che noi non contestavamo la presunzione di innocenza o l’iniziativa culturale in sé (sulla quale pure vi era molto da dire).
Chiedevamo semplicemente che si smettesse di dare credito a tali figure opache, di presentare sotto una “buona veste” (magari quella del bibliofilo) questi soggetti che di buono avevano ben poco, uomini dal passato e dal presente torpido, ricchi senza saperne i motivi, innocenti fino a prova contraria ma costantemente protetti da prescrizioni e depenalizzazioni, e soprattutto sempre e costantemente ai vertici, nell’alta politica, nelle stanze che contatto, nei “giri giusti”. Come era possibile distinguere, come pretendevano tutti questi benpensanti, l’uomo Dell’Utri, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, il cui nome compariva in un incredibile numero di inchieste, intercettazioni, dichiarazioni e deposizioni sul tema dei rapporti tra Politica e mafia, dall’uomo Dell’Utri, appassionato bibliofilo e collezionista esperto di libri antichi?
No, l’invito a Parolario era semplicemente un’indecenza, un affronto a tutti i cittadini che a Como non hanno bisogno di arrivare al terzo grado di giudizio per dimostrare la propria onestà oltre che una scelta estremamente discutibile sotto il profilo del valore cultura dell’evento.
Oggi, a quasi 4 anni di distanza, sarebbe davvero interessante sentire quelle stesse voci e vedere se, con la stessa spocchia, sono pronti a difendere l’uomo Dell’Utri che ha provato a sottrarsi ad una sentenza imminente, qualunque essa sarà. Probabilmente si, in nome di quella logica che fa provare simpatia se si ruota attorno ad una determinata parte politica, e avversione se si è di diverso avviso (logica sempliciotta ma molto radicata in una parte consistente di Como) e in nome dell’orgoglio che raramente fa fare un “mea culpa” per i propri errori di giudizio o i valutazione.
Ma in questo caso basterebbe un semplicissimo “forse non avevate tutti i torti”.

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